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capitolo quinto. 257

tanto, che quasi gliel’avrebbe cavata se lo stesso paziente non avesse smosso colle spalle alcune pietre della muraglia. Imbavagliato e legato anche questo, lo si frugò ben bene unitamente al compagno; si tolsero loro le armi, e furono condotti in un luogaccio umido, appartato, e ben riparato dall’aria, dov’ebbero posto ciascheduno in una celletta come due veri frati. Li lasciarono così in preda alle loro meditazioni, per destar la famiglia e propalare la gran novella.

Figuratevi qual maraviglia, che batticuore, che consolazione! - Era certo che anche quel nuovo tiro veniva dalla parte di Venchieredo. Laonde si decise di serbare piucchè fosse possibile il segreto, finchè si desse notizia dell’accaduto al vice-capitano di Portogruaro. Fulgenzio fu incaricato di ciò. La missione ebbe effetto così pieno, che il castellano aspettava ancora il ritorno dei due frati, quando una compagnia di Schiavoni attorniò il castello di Venchieredo, s’impadronì della persona del signor giurisdicente, e lo trasse legato in tutta regola a Portogruaro. Certamente Fulgenzio avea trovato argomenti molto decisivi per indurre la prudenza del vice-capitano a una sì forte e subitanea risoluzione. Il prigioniero, pallido di bile e di paura, si mordeva le labbra per esser caduto da sciocco in una trappola, e con tardiva avvedutezza pensava indarno ai bei feudi che possedeva oltre l’Isonzo. Le carceri di Portogruaro erano molto solide, e la fretta della sua cattura troppo significante perchè si lusingasse di poterla scapolare. Gli abitanti di Fratta dal canto loro furono alleggeriti d’un gran peso: e tutti si scatenarono allora contro la temerità di quel prepotente; e piccoli e grandi si facevano belli di quel colpo di mano come se il merito fosse appunto loro e non del caso. Un ordine venuto qualche giorno dopo di consegnare i quattro imputati d’invasione a mano armata, nonchè i due finti cappuccini e le carte del processo di Germano ad un