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capitolo quinto. 249

sinar gangheri e serrature per penetrare nell’archivio. E poi dopo qualche schioppettata, scambiatasi così tra il chiaroscuro più per braveria che per bisogno, i quattro malandrini erano venuti nelle sue mani, e li teneva guardati nella stessa torre ove s’erano introdotti con sì sfacciata scelleraggine. Fra questi era il capo-banda Gaetano. Quanto poï al portinajo del castello, gli era già morto quando le cernide di Lugugnana s’erano accorte di lui.

— Povero Germano! — sclamò il cavallante.

— E che non ci sia proprio più pericolo? che tutti siano partiti? che non si rifacciano addosso per la rivincita? — chiese il signor conte, al quale non pareva vero che un tanto temporale si fosse squagliato per aria senza qualche gran fracasso di fulmini.

— I capi sono bene ammanettati, e saranno savii come bambini fino al momento che li regoli il boja; — rispose il Partistagno. — Quanto agli altri scommetto che non si sovvengono più di qual odore sappia l’aria di Fratta, e che loro non cale niente affatto di fiutarla ancora.

— Dio sia lodato! — sclamò la contessa. — Signor Barone di Partistagno, noi tutti e le cose nostre ci facciamo roba sua, in riconoscenza dell’immenso servigio che ci ha prestato.

— Ella è il più gran guerriero dei secoli moderni! — gridò il capitano asciugandosi sulla fronte il sudore che vi avea lasciato la paura.

— Pare peraltro che anche lei avesse pensato ad una buona difesa — rispose il Partistagno. — Finestre e porte erano così tappate, che non vi sarebbe passata una formica.

Il capitano ammutolì, s’avvicinò col fianco alla tavola per non far vedere ch’egli era senza spada; e della mano accennò a Lucilio, come per riferire a lui tutto il merito di tali precauzioni.

— Ah è stato il signor Lucilio? — sclamò il Parti-