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capitolo quinto. 233

tutto amore e speranza, si dileguò fuori dell’uscio nella nebbia della campagna. La Clara non potè fare a meno di seguirlo fino sulla soglia, indi perdutolo di vista tornò a sedere in cucina, ma non presso al fuoco perchè il caldo era grande e aveva asciutte le vesti più del bisogno. Invece la sua testa, i suoi polsi ardevano come tizzoni, e aveva le labbra e la gola riarse quasi per febbre. La Marianna voleva a tutta forza che la mandasse giù un boccone; ma la non volle a nessun patto, e si accontentò d’un bicchier d’acqua. Indi allungò il braccio sulla spalliera della seggiola, e vi poggiò sopra il capo nell’attitudine di chi s’appresta a dormire; e la Marianna allora cercò persuaderla di coricarsi di sopra nel suo letto, che le avrebbe messe le lenzuola di bucato. Vedendo poi che erano parole buttate via, la vistosa mugnaja si tacque, e dati i chiavistelli alla porta sedette essa pure su uno sgabello.

— Io voglio che voi andiate a coricarvi, — le disse allora la Clara, che, per quanti pensieri e per quanti timori avesse per sè, non avrebbe mai commesso una dimenticanza a scapito altrui.

— No signora! bisogna che io stia qui per esser pronta ad aprire ai nostri uomini, — rispose la Marianna. — Altrimenti invece di darla mi toccherebbe pigliare una gridata. —

La Clara tornò allora a richinare la fronte sul braccio, e stette così, come si dice, sognando ad occhi aperti, mentre la Marianna, dopo aver dondolato un buon pezzo col capo, lo appoggiava sopra una tavola, cominciando a respirare colle tranquille e regolari battute d’una robusta campagnuola che dorme della grossa.

Intanto mentre il signor Lucilio, con ogni accorgimento per non essere veduto, si veniva avvicinando alle fosse posteriori del castello, io, mandato fuori esploratore, me ne scostava con pari prudenza, volendo girare in maniera da