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tali atti di violenza. Laonde si rimise in calma, e domandò a quei due chi fossero, e con quale autorità vietassero di entrare in castello alla figlia del giurisdicente. Gli scherani risposero che erano delle cernide di Venchieredo; ma che l’inseguimento dei contrabbandieri li autorizzava ad agire anche fuori della loro giurisdizione; che i bandi dei signori sindaci parlavano chiaro, e che del resto tale era l’ordine del loro capo di Cento, e che erano là non per altro che per farlo rispettare. Lucilio voleva resistere ancora, ma la Clara lo pregò sommessamente di cessare; ed egli s’accontentò di tornare indietro con lei minacciando i due scherani e il loro padrone di tutte le ire del luogotenente e della Serenissima Signoria, che egli ben sapeva quanto poco valessero.

— Tacete! già sarebbe inutile, — gli veniva bisbigliando all’orecchio la Clara, traendolo lunge da quei due sgherri. — Mi dispiace che è notte fatta e a casa saranno inquieti per me; ma con un piccolo giro potremo entrare benissimo dalla parte delle scuderie. —

In fatti si sviarono per la campagna cercando il sentiero che menava alla postierla: ma non avean camminato cento passi che trovarono l’intoppo di due altre guardie.

— È un vero agguato! — sclamò indispettito Lucilio. — Che una nobile donzella debba serenare tutta notte pel capriccio di alcuni mascalzoni!

— Badi alle parole, illustrissimo! — gridò uno dei due, dando per terra un furioso colpo col calcio del moschetto.

Il giovine tremava di rabbia, palpeggiando coll’una mano in fondo alla tasca la sua fida pistola, ma nell’altra sentiva il braccio di Clara che tremava di spavento ed ebbe il coraggio di trattenersi.

— Cerchiamo d’intendersi colle buone, — riprese egli fremendo ancora pel dispetto. — Quanto volete a lasciar pas-