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capitolo quinto. 213

giunsi, — e poi, come se nulla fosse, capiterò all’osteria, dove sono quei signori, a piangere e a lagnarmi di non poter rientrare in castello... Dirò che sono uscito nel dopopranzo, che era insieme colla contessina Clara e che poi mi son perduto a correre dietro le farfalle, e non ho più potuto raggiungerla. Allora chi ne sa me ne darà notizia, ed io tornerò dietro le scuderie a zufolare, e l’ortolano mi allungherà una tavola sulla quale ripasserò il fossato come lo avrò passato nell’uscire.

— A meraviglia: tu sei un paladino! — rispose il fattore.

— Di che cosa si tratta? — mi domandò Martino che si sgomentava di tutti quei discorsi che mi vedeva fare, senza poterne capire gran che.

— Vado fuori in cerca della contessina che non è ancora rientrata; — io gli risposi con tutto il fiato dei polmoni.

— Sì, sì; fai benissimo, — soggiunse il vecchio; — ma abbi gran prudenza.

— Per non comprometter noi, — continuò la contessa.

— Peraltro andrà bene che tu stia un poco origliando i discorsi degli scherani che sono all’osteria per conoscere le loro intenzioni, — aggiunse il conte. — Così potremo regolarci per le pratiche ulteriori.

— Sì, sì! e torna presto, piccino! — riprese la contessa accarezzandomi quella zazzera disgraziata, cui tante volte era toccata una sorte ben diversa. — Va, guarda, osserva, e riportaci tutto fedelmente! Il Signore ti ha fatto così furbo e risoluto per nostro maggior bene!... Va pure, e il Signore ti benedica, e ricordati che noi stiamo qui ad attenderti col cuore sospeso!

— Tornerò appena abbia odorato qualche cosa, — risposi io con piglio autorevole, chè già fin d’allora mi sentiva uomo in quell’accolta di conigli.

Marchetto, il fattore e Martino vennero meco, confortandomi e raccomandandomi di usar prudenza, accortezza