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capitolo quinto. | 211 |
duto che i fuggitivi si siano ricoverati a Fratta. Cosa c’è di straordinario in questo?... Se li persuaderemo che qui di contrabbandi non ce n’è mai stata orma, essi torneranno verso casa mansueti come agnellini.
— Eccellenza, ella si dimentica una circostanza, — s’intromise a dire monsignore di sant’Andrea. — Sembra che i fuggitivi fossero scherani essi pure travestiti da contrabbandieri, e cacciati innanzi come pretesti a movere questo gran tafferuglio. Germano pretende aver conosciuto fra loro alcun mustacchione di Venchieredo.
— Eh cosa c’entro io! cosa ci ho a far io! — sclamò disperatamente il povero conte.
— Si potrebbe intanto mandar fuori alcuno di soppiatto che spiasse come vanno le cose, e cercasse conto della contessina — consigliò il cavallante.
— Oibò, oibò! — rispose atterrita la contessa. — Sarebbe una grave imprudenza, tanto più che in castello si scarseggia di gente e non è questo il momento da allontanare i più esperti!
La Pisana che era appollaiata con me fra le ginocchia di Martino, si avanzò baldanzosamente verso il focolare, offrendosi ad andar lei in traccia della sorella; ma erano tanto costernati che nessuno fuori di Marchetto sembrò accorgersi di quella fanciullesca e commovente temerità. Per altro l’esempio non fu senza frutto, e dopo la Pisana io pure m’offersi ad uscire in cerca della contessina. Questa volta l’offerta ebbe la fortuna di fermare taluno.
— Davvero tu ti arrischieresti ad andar fuori per dar un’occhiata? — mi domandò il fattore.
— Sì certo, — soggiunsi io, alzando la testa e guardando fieramente la Pisana.
— Ci andremo insieme; — disse la fanciulla che non volea parere dammeno di me.
— Eh no, non sono affari da signorine questi, — ri-