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capitolo quinto. 207

fossero i caporioni. Ma era venuto il momento, diceva egli, di sterminare questa combriccola, e giacchè chi doveva tutelare le leggi nel paese se ne mostrava il più impudente nemico, a loro toccava adempiere i decreti della Serenissima Signoria, e farsi grandissimo merito con quell’impresa.

— Germano, Germano, alza il ponte levatoio, e spranga bene il portone! — si mise a strillare il conte, poichè ebbe udito tutta questa tiritera di insulti e di fandonie.

— Il ponte l’ho già alzato io, eccellenza! — rispose il capitano — anzi per maggior sicurezza l’ho fatto gettar nel fossato da tre dei miei uomini perchè le carrucole non volevano girare.

— Benissimo, benissimo! chiudete le finestre, e chiudete tutti gli usci a catenaccio — soggiunse il conte. — Che nessuno osi metter piede fuori del castello!

— Sfido io a moversi ora che è rovinato il ponte! — osservò il cavallante.

— Mi pare che il ponticello della scuderia ci assicuri una sortita in caso di bisogno, — replicò sapientemente il capitano.

— No, no, non voglio sortite! — tornò a gridare il conte — Buttate giù subito anche il ponticello della scuderia: io metto da questo punto il mio castello in istato d’assedio e di difesa.

— Faccio osservare a Sua Eccellenza che rotto quel ponte non si saprà più donde uscire per le provvigioni della giornata, — obbiettò il fattore inchinandosi.

— Non importa! dice bene mio marito! — rispose la contessa che era la più spaventata di tutti. — Voi pensate ad ubbidire e a demolir tosto il ponticello delle scuderie: non c’è tempo da perdere! Potremmo esser assassinati da un momento all’altro. —

Il fattore s’inchinò più profondamente di prima, e