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200 | le confessioni d’un ottuagenario. |
dire subito, e per le mie buone ragioni: domani non si potrà più parlare di questo processo!
— Per esempio! Come è possibile? — sclamò il conte di Fratta.
— Ah, vedo che torniamo a raccostarsi, soggiunse l’altro — chi cerca il mezzo è già persuaso della massima. E il mezzo è bello e trovato. Tutto sta che lei, signor conte, sia disposto ad accontentare, com’è di dovere, i desiderii segreti del Consiglio dei Dieci ed i miei! -
Quel miei fu pronunciato in maniera, che ricordò lo scoppio d’una trombonata.
— Si figuri!... Son dispostissimo io! — balbettò il pover uomo. — Quando ella mi assicura che anche quelli di sopra vogliono così!...
— Sicuro, pel minor male, — proseguì il Venchieredo. — Sempre intesi che tutto debba succedere per caso, e qui è il bandolo della matassa. Una buona parola a Germano, mi capisce!... un po’ di esca e un acciarino battuto su quelle carte, e non se ne parla più.
— Ma il cancelliere?
— Non parlerà, stia quieto! ho una parola anche per lui. Così si desidera da quelli che stanno in alto; e così desidero anch’io: non che la cosa possa aver conseguenze a mio danno; ma mi dorrebbe dover fare qualche rappresaglia a un uomo del suo merito. Il castellano di Venchieredo subire un processo da un suo pari!... S’immagini! il decoro non me lo permette. Insisterò io stesso perché quel processo lo si istituisca altrove; a Udine, a Venezia, che so io, allora mi purgherò, allora mi difenderò. Qui, ella vede bene, è impossibile; io non devo sopportarlo a costo d’ammazzarne, non che uno, mille! —
Il conte di Fratta tremò tutto da capo a piedi; ma oggimai si era avvezzato a quei sussulti importuni, e trovò fiato da soggiungere: