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196 | le confessioni d’un ottuagenario. |
Ma il Venchieredo gli soffocò le parole in bocca.
— È inutile — diss’egli, — è inutile che il signor cancelliere si distolga dalle sue solite incombenze per perdersi nelle nostre ciarle. Si sa che egli ha per le mani processi molto importanti e che esigono pronta trattazione e diligentissimo esame. Il bene della serenissima Signoria prima di tutto, dovesse anche andarne la vita! non è vero, signor cancelliere? - Intanto ella può lasciarci qui a quattr’occhi, che il nostro colloquio non è null’affatto curiale, e ce ne sbrigheremo tra noi. —
Il cancelliere ebbe appena appena la forza necessaria per trascinare le gambe fin fuori della sala; e il suo occhietto bieco era in quel momento così fuori di strada, che nell’uscire gli lasciò battere il naso contro la merletta. Il conte mosse verso di lui un tacito e impotente gesto di preghiera, di paura e di disperazione; uno di quei gesti che annaspano per aria le braccia d’un annegato prima di abbandonarsi alla corrente. Indi, quando l’uscio fu rinchiuso, si rassettò la veste gallonata, e alzò timidamente gli occhi come per dire: - portiamola con dignità!
— Ho piacere ch’ella mi abbia accolto con tanta confidenza — riprese allora il Venchieredo; — ciò dimostra chiaro che finiremo coll’intenderci. E in fin dei conti l’ha anche fatto bene; perchè debbo appunto intrattenerla d’un affare di confidenza. N’è vero che ci intenderemo, signor conte? — aggiunse il volpone avvicinandosegli per stringergli furbescamente la mano.
Il signor conte fu discretamente consolato di quel segno d’affetto; si lasciò stringer la mano con una leggiera impazienza, e non appena la sentì libera se la nascose frettolosamente nella tasca della zimarra. Credo che gli tardasse l’ora di correre a lavarsela, perchè il vice-capitano non fiutasse da Portogruaro l’odore di quella stretta.
— Sì, signore; — rispose egli impiastricciando un sor-