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capitolo quarto. 189

— Di scherzare io? Si figuri, reverendo!... Mi sono alzato all’alba; e quando ciò mi succede non è già per voglia di scherzare!... Vengo a dirle netto e tondo, che se il signor conte di Fratta non è capace di tutelare gl’interessi della Serenissima, ci son qua io poco lontano, che me ne sento in grado. Ella accoglie in casa sua contrabbandi e contrabbandieri... No, no, reverendo!... Non serve il diniegare col capo... Ci abbiamo anche i testimoni, e all’uopo si potrà citarlo in giudizio, o andare intesi colla Curia.

— Misericordia! — sclamò il cappellano.

— Or dunque, — proseguì il feudatario, — siccome non mi garba per nulla a me la vicinanza di cotali combriccole, sarei a pregarla di cambiar aria a suo talento, prima che si possa essere indotti a fargliela cambiare per forza.

— Cambiar aria? che cosa vuol dire?... cambiar aria io? come? si spieghi Eccellenza!

— Ecco, voglio dire, che se la potesse ottenere una prebenda in montagna, la mi userebbe una vera finezza!

— In montagna? — continuò sempre più stupefatto il cappellano. — Io in montagna! Ma non è possibile Eccellenza! — Io non so nemmeno dove sieno le montagne!

— Eccole là, soggiunse il signore accennando fuori dalla finestra.

Ma il castellano avea fatto i conti senza valutare la timidità eccessiva del prete. In alcuni esseri rozzi, semplici, modesti, ma interi e primitivi, la timidità tien luogo alle volte di coraggio; e allora al cappellano quel dover incominciare una vita nuova in paese nuovo con gente a lui sconosciuta, sembrò una fatica più grave e formidabile di quella di morire. Era nato a Fratta, lì aveva le sue radici, e sentiva che a sbarbicarlo di quel paese lo si avrebbe addirittura ammazzato.

— No, Eccellenza; rispose egli con intonazione più