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capitolo quarto. 185

Germano calò brontolando il ponte levatoio, e la prode soldatesca uscì in campagna. Ma lo Spaccafumo non avea voglia per nulla di farsi vedere in quel giorno sulla piazza di Fratta; e per quanto il capitano mostrasse il brutto muso, e s’arricciasse i baffi sull’uscio dell’osteria nessuno gli capitò innanzi che osasse sfidare un sì minaccioso cipiglio. Fu un gran vanto per il capitano; e quando i buli di Venchieredo tornarono verso sera dalla loro inutile caccia, sfiancati e trafelati come cani da corsa, egli non mancò di menarne scalpore. Gaetano gli sghignazzò sul muso con pochissima creanza; tantochè le tre cernide di Fratta ne pigliarono sgomento, e s’intanarono nell’osteria piantando il loro caporione. Ma costui era uomo di spada e di toga; per cui non gli riuscì difficile schermirsi pulitamente dalle beffe di Gaetano: e finse di sapere allora soltanto che lo Spaccafumo se l’avesse battuta a cavallo traverso i campi. A udirlo lui, egli aspettava che quel disgraziato sbucasse di momento in momento dal suo nascondiglio, e allora glielo avrebbe fatto pagar salato lo sfregio recato all’autorità del nobile giurisdicente di Venchieredo. Gaetano a codeste smargiassate rispose, che il suo padrone era più che capace di farsi pagare da sè: e che del resto dicessero al cappellano, che per la nottata dello Spaccafumo essi avrebbero pensato a saldare lo scotto.

In quel dopopranzo nessuno pensò di muoversi dal castello; e io e la Pisana passammo un’assai brutta e nojosa giornata, litigando nel cortile coi figliuoli di Fulgenzio e del fattore. La sera poi, ad ogni visita che capitava, Germano dalla sua camera dava la voce; e solamente quando avevano risposto di fuori, egli abbassava il ponte levatoio perchè avanzassero. Le catene rugginose stridevano sulle carrucole quasi pel rammarico di esser rimesse al lavoro. dopo tanti anni di tranquillissimo ozio; e nessuno passava sullo sconnesso tavolato, senza mandar prima un’occhiata di poca fede