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164 le confessioni d’un ottuagenario.

Or dunque, qualche anno prima di me, Leopardo Provedoni avea stretta dimestichezza colla fontana di Venchieredo. Quel luogo romito, tranquillo, solitario gli si attagliava bene alla fantasia, come un abito ben fatto alla persona. Ogni suo pensiero vi trovava una corrispondenza naturale; o almeno nessuno di quei salici s’intrometteva a dire di no su quanto ei veniva pensando. Egli abbelliva, coloriva e popolava a suo modo il deserto paesaggio; e poichè, senza essere in guerra ancora con nessuno al mondo, pur si sentiva istintivamente differente da tutti, là gli pareva di vivere più felice che altrove, per quella gran ragione che vi restava libero e solo. L’amicizia di Leopardo per la fontana di Venchieredo fu il primo suo fatto che non avrebbe ammesso contraddizione; il secondo fu l’amore da lui preso, più assai che per la fontana, per una bella ragazza che ci veniva sovente, e nella quale egli s’incontrò soletto una bella mattina di primavera. A udirla narrare da lui come fu quella scena, mi pareva di assistere ad una lettura dell’Aminta; ma Tasso torniva i suoi versi e li leggeva poi; Leopardo si ricordava, e ricordandosi improvvisava, che a vederlo e ad ascoltarlo venivano proprio alle tempie i sudori freddi della poesia.

L’era uscito di casa con un bel sole di maggio, e il fucile ad armacollo, più per soddisfazione alla curiosità dei viandanti, che per ostile minaccia a'beccaccini e alle pernici. Passo dietro passo, col capo nelle nuvole, egli si trovò in orlo al boschetto che circuisce dai due lati la fontana, e lì tese le orecchie per raccogliervi il consueto saluto d’un usignuolo. L’usignuolo infatti vegliava la sua venuta e gorgheggiò il solito trillo; ma non dal solito albero; quel giorno il suono veniva timido e sommesso da un ramo più riposto: e pareva sì ch’e’salutasse il semplice augellino, ma un po’ diffidente di quell’arnese che l’amico portava in ispalla. Leopardo mise gli occhi tra le frasche a spiare il