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no, che le Comunità litigavano ancora sul bezzo e sulla petizza: quegli avea già in tasca la sentenza favorevole, e queste contendevano sopra una clausola della risposta o della duplica.

Così la taccagneria, che si è osservata abbarbicarsi quasi sempre nel governo dei molti e piccoli, menomava d’assai quella debolissima forza che era consentita ai Comuni. Perchè inoltre, mentre i castellani tenevano armate alla meglio le loro cernide, e assoldavano per birri i capi più arrisicati del territorio, le Comunità all’incontro non ricevevano che i loro rifiuti, e in quanto alle cernide non era raro che un drappello intero si trovasse con quattro archibugi tarlati e sconnessi, ogni colpo dei quali era più che altro pericoloso per chi lo tirava. Infatti si guardavano bene dal commettere simili imprudenze; e nelle maggiori scalmane di coraggio combattevano col calcio. Quello che succedeva delle giurisdizioni rispetto allo Stato, che cioè ognuna faceva e pensava per sè, non vedendo nè provando utile alcuno dal gran vincolo sociale, avveniva ugualmente nelle persone singole rispetto alla comune, che diffidando, e non a torto, dell’autorità di questo, ognuno s’ingegnava a farsi o giustizia o autorità per sè. Da ciò rappresaglie private continue, e servilità nei comuni ai feudatari vicini, più dannosa e codarda perchè non necessaria; ma necessaria in questo, che una legge naturale fa i deboli servi dei potenti. Non sempre a torto fummo tacciati noi Italiani di dissimulazione, d’adulazione, e d’eccessivo rispetto alle opinioni e alle forze individuali. Gli ordinamenti pubblici di cui accenno, fomentarono cotali piaghe dell’indole nazionale. Tartufi, parassiti e briganti, pullularono come male erbe in luogo ferace ed incolto. L’ingegno, l’accortezza, l’audacia, volte a frodar quelle leggi da cui non era assicurato con ugualità nessun diritto, diventavano stromenti di malizia, e di perversità; e il suddito, colla frode o col delitto, s’adoperava a conseguire