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142 le confessioni d’un ottuagenario.


letto, e andai nella sua camera che appunto gli era sul finir di vestirsi, e gli dissi che io mi sentiva un gran mal di capo, e che per tutta la notte non avea chiuso occhio, e che mi chiamassero il Dottore perchè avea gran paura di morirne. Martino mi rispose ch’era pazzo, e che mi ricoricassi quietino, e che egli andrebbe intanto pel Dottore: ma prima scese in cucina a rubarmi un po’ di brodo; impresa nella quale, protetto dall’oscurità del locale, riuscì a meraviglia; e io bevetti il brodo con gran pazienza benchè avessi dentro una grandissima voglia di panetti, e poi m’adagiai sotto le coltri promettendo che avrei cercato di sudare. Credo che tra le botte della testa, la sfinitezza della fatica e del digiuno, e il sudore promossomi da quella bevanda calda, io arrivai a compormi una bellissima febbre; tantochè quando il signor Lucilio capitò di lì a un’ora la fame erami passata, e le era succeduta una sete ardentissima. Mi tastò il polso, mi guardò la lingua, e mentre mi domandava conto di quelle graffiature che mi screziavano la fronte, sorrise in modo più benevolo di prima, udendo nel corritoio il fruscìo d’una gonna. La Clara entrò nel bugigattolo per ascoltare dal medico la ragion dal mio male e confortarmi con dire, che la contessa in vista della mia malattia non si sarebbe ostinata nel castigarmi tanto severamente, e purchè dicessi a lei la verità circa alla sera prima, mi avrebbe anche perdonato. Io le risposi che la verità l’aveva già detta, e sarei tornato a ripeterla; e che se pareva strano a loro che fossi andato a zonzo senza saper dove avessi passato quasi un’intera giornata, lo stesso sembrava anche a me, ma non sapeva che farci. La Clara allora m’interrogò su quel luogo così maraviglioso, e così pieno di luce di sole e di colori ove diceva essere stato; e ripetutane ch’io n’ebbi con grand’enfasi la descrizione, la soggiunse che forse Marchetto aveva ragione, e che io poteva essere stato al Bastione di Attila, che è un’altura presso la marina