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capitolo terzo. 139


vista del Partenone e delle Termopili. Così l’uomo, religioso al memoriale delle sue fortune, non perde il tempo che scorre; ma riversa la gioventù nella virilità, e le raccoglie poi ambedue nello stanco e memore riposo della vecchiaja. È un tesoro che s’accumula, non sono monete che si spendono giorno per giorno. Del resto questa pietosa abitudine mi parve sempre indizio d’animo dabbene; il tristo nulla ha da guadagnare, e tutto da perdere nel ricordarsi; egli s’affanna a distruggere, non a conservare le traccie delle sue azioni, perchè i rimorsi pullulano da ognuna di esse, come gli uomini dai denti seminati da Cadmo. Alle volte io temetti che con tale usanza si venisse a porre nella vita un soverchio affetto, e che il culto del passato significasse avidità del futuro. Ma se è così in taluno, non è certo sempre nè in tutti; del che sono io la prova. Chi raccolse nel suo pellegrinaggio e tenne sol conto delle gemme e dei fiori, si avvicinerà forse tremando a quel varco dove i gabellieri inesorabili lo spoglieranno per sempre dell’allegro bottino; ma se si affidarono al sacrario delle rimembranze, i sorrisi e le lagrime, le rose e le spine, e tutta la varia vicenda della sorte nostra ci si schiera dinanzi per via di figure e d’emblemi; allora lo spirito s’adagia rassegnato nel pensiero dell’ultima necessità, e i gabellieri gli sembrano inesorabili insieme e pietosi. La va secondo l’indole di chi ha raccolto ed ordinato il museo; poichè mio pensiero è che la fortuna nostra sia scritta profeticamente nell’indole. Essa è la regola interna, secondo cui le cose esterne hanno questo o quel valore; e che dai proprii modi di essere giudica la vita o un ozio, o un piacere, o un sacrifizio, o una battaglia, o una modalità. Chi falla nel giudizio deve o rimediarvi colla convinzione nell’errore, o espiare la propria cecità col disperarsene. E molto facilmente chi stimi la vita un’occasione di piaceri, non la stimerà più tale al momento d’andarsene.