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capitolo terzo. 131


la frateria, e menatevelo quando sarà in punto l’arrosto. Di là, carino mio, — continuò volgendosi a me, — non uscirai più se prima non avrai detto chi era quell’uomo a cavallo col quale sei venuto fin sulla scorciatoia di Ramuscello. —

La Faustina aveva acceso il lume, ma non era partita ancora per trasportare il mio covacciolo.

— Vuoi dunque dire chi era quell’uomo? — domandò la contessa.

Io volsi uno sguardo alla Faustina; e mi sentii rompere il cuore pensando, che prima di coricarmi non avrei più potuto fissar gli occhi ed anche arrischiare un bacio sulle palpebre socchiuse e sul bocchino tondetto e rugiadoso della Pisana. E stava in me forse che la Faustina non partisse!

— No! non ho veduto nessuno! non son venuto con nessuno, io; — risposi ad un tratto con maggior franchezza che non avessi mai mostrato dapprima.

— Ebbene! — soggiunse la contessa tornando verso il tinello, dopo aver fatto alla Faustina un altro gesto, che la indusse ad uscire per l’eseguimento degli ordini ricevuti. — Sia fatto come tu vuoi! —

Mise le mani in tasca, e uscì tirandosi dietro in codazzo tutta la comitiva; ma ognuno prima di seguirla mi volgeva due occhiate che sanzionavano la giusta sentenza della castellana. Il conte mi esorcizzò inoltre con un gesto che significava: — Costui ha il diavolo addosso. — Monsignore andò via scrollando il capo quasi disperasse del confiteor; il piovano strinse le labbra come per dire: non ci capisco nulla, e il Partistagno voltò via allegramente perchè era stufo della scena. Restava la contessina Clara che in onta agli occhiacci della signora Veronica, di Fulgenzio e del capitano, mi venne daccanto amorevolmente domandandomi se avessi proprio detto la verità. Io volsi uno sguardo in giro, e risposi di sì piegando il mento sul petto. Allora