Pagina:Le confessioni di un ottuagenario I.djvu/148


capitolo terzo. 121


zione dell’atto di fede insegnatomi dal pievano a tirate di orecchi; fu uno slancio nuovo spontaneo vigoroso d’una nuova fede, che dormiva quieta quieta nel mio cuore e si risvegliò di sbalzo all’invito materno della natura! Dalla bellezza universale pregustai il sentimento dell’universale bontà; credetti fino d’allora che come le tempeste del verno non potevano guastare la stupenda armonia del creato, cosí le passioni umane non varrebbero mai ad offuscare il bel sereno dell’eterna giustizia. La giustizia è fra noi, sopra di noi, dentro di noi. Essa ci punisce e ci ricompensa. Essa, essa sola è la grande unitrice delle cose, che assicura la felicità delle anime nella grand’anima dell’umanità. Sentimenti mal definiti che diverranno idee quando che sia; ma che dai cuori ove nacquero tralucono già alla mente d’alcuni uomini, ed alla mia; sentimenti poetici ma di quella poesia che vive, e s’incarna verso per verso negli annali della storia; sentimenti d’un animo provato dal lungo cimento della vita, ma che già covavano in quel senso di felicità e di religione, che a me fanciullo fece piegar le ginocchia dinanzi alla maestà dell’universo!

Povero a me se avessi allor pensato queste cose alte e quasi inesprimibili! Avrei perduto il cervello nella filosofia, e certo non tornava più a Fratta per quella notte. Invece quando cominciò ad imbrunire, e mi si oscurò dinanzi quello spettacolo di maraviglia, tornai subito fanciullo, e mi diedi quasi a piangere temendo di non trovar più la strada di Fratta. Avea corso nel venire; nel ritorno corsi più assai; e giunsi al valico del canale che splendeva ancora il crepuscolo. Ma addentratomi nella campagna la cosa cangiò d’aspetto; la notte calava giù nebbiosa e nerissima, ed io ch’era venuto, così camminando soprappensiero, non sapea piú trovarmi. Principiò a mettermisi intorno un tremore di febbre, ed una voglia di correre per arrivare non sapeva nemmen io dove. Mi sembrava che per quanto fossi