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108 le confessioni d’un ottuagenario.

CAPITOLO TERZO


Confronto fra la cucina del castello di Fratta e il resto del mondo. — La seconda parte del confiteor e il girarrosto. — Prime scorrerie colla Pisana, e mia ardita navigazione fino al Bastione di Attila. — Prime poesie, primi dolori, prime pazzie amorose, nelle quali prevengo anche la rara precocità di Dante Alighieri.


La prima volta ch’io uscii dalla cucina di Fratta a spaziare nel mondo, questo mi parve bello fuor d’ogni misura. I confronti son sempre odiosi: ma io non potei allora tralasciare di farne, se non col cervello, almeno cogli occhi; e deggio anche confessare, che tra la cucina di Fratta ed il mondo, io non esitai un momento nel dar la palma a quest’ultimo. Primo punto; natura vuole che si anteponga la luce alle tenebre, e il sole del cielo a qualunque fiamma di camino; in secondo luogo, in quel mondo d’erba, di fiori, di salti e di capitomboli dove metteva piede, non c’erano nè le formidabili guarnizioni scarlatte del signor Conte, nè le ramanzine di Monsignore a proposito del confiteor; nè le persecuzioni di Fulgenzio; nè le carezze poco aggradevoli della Contessa; nè gli scappellotti delle cameriere. Da ultimo, se nella cucina viveva da suddito, lì fuori due passi mi sentiva padrone di respirare a mio grado, ed anco di sternutire, e di dirmi: — salute, eccellenza! e di risponder, grazie, — senzachè nessuno trovasse disdicevoli tante cerimonie. I complimenti ricevuti dal Conte nella fausta occasione de’ suoi sternuti mi erano sempre stati cagione d’invidia fin da piccino; perchè mi pareva che una persona a cui si auguravano tante belle cose dovesse essere di grande rilievo e di un merito infinito. Andando poi innanzi nella vita corressi questa mia strana opinione; ma in quello che spetta al sentimento,