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84 le confessioni d’un ottuagenario.

ne duole, forse perchè durai grandissima fatica a trovare un’altra via per cui salire alla vera e discreta stima della vita. Dovetti percorrere sovente col disinganno al fianco, e la disperazione dinanzi agli occhi, tutta la profondità dell’abisso metafisico; dovetti sforzarmi ad allargare la contemplazione d’un animo diffidente e miope sopra l’infinita vastità e durevolezza delle cose umane; dovetti chiuder gli occhi sui più comuni e strazianti problemi della felicità, della scienza e della virtù contraddicenti fra loro; dovetti io, essere socievole e soggetto alle leggi sociali, rinserrarmi nel baluardo della coscienza per sentire la santità e la vitalità eterna e forse l’attuazione futura di quelle leggi morali che ora sono derise, calpestate, violate per tutti i modi; dovetti infine, uomo superbo della mia ragione e d’un vantato impero sull’universo, inabissarmi, annichilirmi, nella vita immensa ed immensamente armonica dello stesso universo, per trovare una scusa a quella fatica che si chiama esistenza, ed una ragione a quel fantasma che si chiama speranza. Ed anco questa scusa tremola dinanzi alla ragione invecchiata, come una fiamma di candela sbattuta dal vento; e tardi m’accorgo che la fede è migliore della scienza per la felicità. Ma non posso pentirmi del mio stato morale; perchè la necessità non ammette pentimenti: non posso e non debbo arrossirne; perchè una dottrina che nella pratica sociale accoppia la fermezza degli stoici alla carità evangelica, non potrà mai vergognar di se stessa, qualunque siano i suoi fondamenti filosofici. Ma quanti sudori, quanti dolori, quanti anni, quanta costanza per arrivare a ciò! Ebbi la pazienza della formica, che, capovolta dal vento, cento volte perde la sua strada e cento la riprende per compiere a passi invisibili il suo lungo cammino. Pochi mi avrebbero imitato, e pochi m’imitano in fatti. — I più gettano a mezza strada una bussola malfida da cui furono il più delle volte ingannati; e si abbandonano giorno per giorno