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le confessioni | 83 |
confessore, un prete semplice, timido, di mettere alla luce tutto il fango della mia anima, pentendomi dei miei vizi; ero così contento di confondermi col pensiero, per l’umiltà, coi Padri che avevano scritto le preghiere; così contento di sentirmi in unione con tutti i credenti, che non vedevo l’artifizio della mia spiegazione. Ma quando m’avvicinai alle porte del santuario e il prete m’obbligò a ripetere ch’io credevo che ciò che stavo per ingoiare fosse il vero corpo e il vero sangue di Cristo, fu per me come un colpo di coltello nel cuore. Vedevo là, non solamente qualche cosa di falso, ma, un’esigenza crudele imposta da qualcuno che evidentemente non aveva mai saputo egli stesso che cosa fosse la fede.
Ora mi permetto di dire che fosse un’esigenza crudele, ma allora non osai pensarlo. Sentivo soltanto una sofferenza indicibile. Non mi trovavo più nella stessa situazione che in gioventù, quando pensavo che nella vita tutto è chiaro. Ero venuto alla fede, perchè all’infuori della fede non trovavo nulla, assolutamente nulla, tranne la morte. Per questo m’era impossibile respingere questa fede, e mi sottomisi.
Trovai nella mia anima un sentimento che mi aiutò a sopportar questo: l’umiltà e la sottomissione. Mi sono umiliato, ho ingoiato questo sangue e questo corpo senza nessun sentimento sacrilego, col desiderio di credere. Ma il colpo era già portato. E sapendo in anticipo ciò che mi attendeva, non avrei più potuto tornare a quella cerimonia.
Continuai a partecipare alle cerimonie della Chiesa, poichè credevo sempre che la fede ch’io confessavo fosse la verità; e mi accadde qual-