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XII.


La convinzione dell’errore della scienza ragionata m’aiutò a liberarmi dalla tentazione delle meditazioni sterili.

La convinzione che non si può conoscere la verità se non per mezzo della vita, mi spinse a dubitare che il mio modo di vivere fosse buono. Pervenni a sfuggire alla situazione in cui mi trovavo, vedendo la vita del semplice lavoratore e comprendendo che questa era la vera vita. Compresi che, se volevo definire la vita e il suo senso, dovevo vivere, non la vita di un parassita, ma la vera vita, e dopo aver accettato il senso che le attribuisce la vera umanità, confondermi in questa vita, controllarla. In questo stesso tempo mi capitò ciò che segue. Durante tutto quell’anno, quando ad ogni momento mi chiedevo come finirla: con la corda o con una palla, durante tutto quel tempo, accanto al movimento d’idee e di osservazioni di cui ho parlato, il mio cuore soffriva per un doloroso sentimento ch’io non posso chiamare altrimenti che la ricerca di Dio.

Dico che questa ricerca di Dio non era un ragionamento, ma un sentimento, perchè proveniva, non dal cammino dei miei pensieri — essa era, al contrario, completamente opposta ad esso — ma dal cuore. Era come un sentimento di timore, d’abbandono, d’isolamento, in mezzo a tutto ciò che mi circondava e che m’era estraneo, unito, nello stesso tempo, alla speranza in un essere qualunque.