Pagina:Le confessioni di Lev Tolstoj.djvu/65


le confessioni 63

Nessun ragionamento poteva convincermi della verità della loro fede. Avrebbero potuto convincermi soltanto degli atti i quali mi mostrassero che il loro senso della vita era tale da non far loro temere nè la malattia nè la morte, così terribili per me. Ma atti simili non si potevano vedere tra i diversi credenti della nostra società. Al contrario mi accadeva di incontrarne fra uomini increduli della mia classe, ma non mai fra quelli che eran tenuti per credenti.

Compresi che la fede di quelle persone non era quella ch’io cercavo, che la loro fede non era la fede, ma una delle consolazioni epicuree della vita.

Compresi che questa fede era buona, forse, se non come consolazione, almeno come distrazione per un Salomone che si fosse pentito sul letto di morte, ma che non varrebbe nulla per la gran massa dell’umanità, alla quale non è dato di divertirsi, godendo del lavoro altrui: ma è obbligata a lavorare per gli altri.

Perchè tutta l’umanità possa vivere, perchè continui la vita dandole un senso, questi miliardi di esseri devono concepire un’altra, reale significazione della fede. Non il fatto che io, con Salomone e Schopenhauer, non ci uccidiamo potrà convincermi dell’esistenza della fede, ma il fatto che questi miliardi di esseri hanno vissuto e vivono portando noi e Salomone sulle onde della vita.

Allora cominciai ad avvicinarmi ai credenti fra gli uomini poveri, semplici, ignoranti, pellegrini, monaci, settarî, contadini. La religione di questa gente era cristiana quanto quella dei pretesi credenti della nostra società. Molte superstizioni erano pure frammiste alle verità cristiane, con la differenza che le superstizioni dei