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62 | leone tolstoi |
senso della vita, e ch’essi stessi affermavano la loro fede non per rispondere a questo problema della vita, che m’aveva condotto alla religione, ma in vista di uno scopo qualunque che m’era estraneo. Ricordo il sentimento doloroso che m’ispirava il terrore di un ritorno all’antica disperazione, dopo la speranza che avevo sentita parecchie volte, in seguito ai miei rapporti con queste persone.
Più esse mi esponevano nei particolari le loro concezioni, e più vedevo chiaramente il loro errore, e sentivo svanir la mia speranza di trovar nella loro religione la spiegazione del senso della vita.
Ciò che mi respingeva non era il fatto che nell’esposizione della loro dottrina, esse associassero alle virtù cristiane, che m’erano sempre state care, mille cose inutili e irragionevoli. No; ciò che mi respingeva era il fatto che la vita di queste persone era simile alla mia, con la sola differenza che non corrispondeva ai principî che essi esponevano nelle loro dottrine.
Sentivo chiaramente che si ingannavano da sè, e che essi, come me, non vedevano nella vita altro senso che questo: vivere, accettando da essa tutto ciò ch’essa può dare. Vedevo questo, poichè, se essi le avessero dato il significato che distrugge la paura delle privazioni, delle sofferenze e della morte, non avrebbero avuto precisamente questa paura. Mentre questi credenti, come me vivevano in un’agiatezza, in un’abbondanza che cercavano di aumentare o di conservare, avevano paura delle privazioni, della sofferenza, della morte e, come tutti gl’increduli, vivevano soddisfacendo la carne, vivevano altrettanto male se non peggio degl’increduli.