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le confessioni 49

chiacchierare ed anche scrivere dei libri. Ciò m’era penoso, mi ripugnava; eppure rimasi in questa situazione.

Ora comprendo che se non mi uccisi, fu per causa della coscienza vaga del disorientamento dei miei pensieri. Per quanto il cammino dei miei pensieri e dei pensieri dei saggi che mi avevano fatto comprendere la vanità della vita mi sembrasse convincente e indiscutibile, rimaneva in me un leggero dubbio sulla verità del mio ragionamento.

Il dubbio era questo: io — o la mia intelligenza — abbiamo riconosciuto che la vita è stupida. Se non v’è una ragione suprema (e non v’è, nulla potendo provare la sua esistenza), allora la ragione è per me la creatrice della vita. Se non vi fosse ragione, non vi sarebbe vita. Come dunque questa ragione può negar la vita, essendone l’autrice? Ma, d’altra parte, se non vi fosse la vita, non vi sarebbe la ragione: allora la ragione è figlia della vita. Dunque la vita è tutto, la ragione è il frutto della vita e questa stessa ragione nega la vita. Sentivo che questo ragionamento falliva in qualche punto. La vita è un male senza senso, questo è indiscutibile, mi dicevo, ma io ho vissuto, vivo ancora e tutta l’umanità ha vissuto e vive tuttora. In che modo? Perchè vive se non può vivere? Come? Sarei dunque con Schopenhauer il solo abbastanza intelligente per aver sentito la stupidità e il male della vita?

Le considerazioni sulla vanità della vita non sono poi tanto straordinarie e vennero fatte da molto tempo dalle persone più semplici, eppure si è vissuti e si vive ancora. Perchè vivono tutti senza mettere in dubbio la ragion d’essere della vita?