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Cercai in tutte le scienze e non soltanto non trovai nulla, ma acquistai la convinzione che tutti quelli i quali, come me, avevano cercato nella scienza, non vi avevano trovato nulla; non solo, ma avevano riconosciuto nettamente la vanità della vita, che m’aveva condotto alla disperazione, esser l’unica conoscenza indiscutibilmente accessibile all’uomo.

Cercai dappertutto, e ― in grazia della mia vita passata nello studio, in grazia anche al fatto che, per le mie relazioni col mondo dei dotti, avevo visto da vicino degli scienziati, celebri nei più diversi rami della scienza, i quali non si rifiutarono a rivelarmi le loro conoscenze ― appresi, dai libri e dalle conversazioni, tutto ciò che la scienza risponde ai problemi della vita.

Per molto tempo non potei credere che la scienza non risponda a quei problemi qualcosa di più di quanto vi risponde. Dopo aver constatato l’importanza e la serietà del tono con cui la scienza afferma le sue proposizioni, che non hanno nulla di comune coi problemi della vita umana, per molto tempo mi parve ci fosse qualcosa ch’io non comprendevo, per molto tempo restai intimidito dinanzi alla scienza; mi pareva che la mancata concordanza delle risposte ai miei problemi non fosse imputabile alla scienza, ma alla mia ignoranza. Per me non era uno scherzo o un divertimento, si trattava di tutta la mia vita, e, a malincuore, fui condotto alla convinzione che i miei problemi erano i soli legittimi e avrebbero dovuto trovarsi alla base di ogni scienza, che non io, coi miei problemi, ero in errore, ma la scienza, se aveva la pretesa di risolverli.

La mia domanda, quella che, a cinquant’anni,