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le confessioni | 23 |
nei mi colmavano di elogi e, senza falsa vanità, potevo credere che il mio nome fosse celebre. Inoltre non solo non ero nè pazzo nè malato mentalmente, ma possedevo una forza morale e fisica come ho trovato raramente fra i miei compagni. Fisicamente avrei potuto falciare come un contadino, intellettualmente avrei potuto lavorare otto, dieci ore di seguito senza risentirne menomamente.
In tale stato giunsi a non poter più vivere e, avendo paura della morte, dovetti usar degli artifizi verso me stesso per non togliermi la vita. Ecco come si riassumeva per me questo stato d’animo: «La mia vita è uno scherzo stupido e cattivo giuocatomi da qualcuno.»
Quantunque io non conoscessi affatto questo qualcuno che m’avrebbe creato, l’idea che qualcuno si fosse burlato di me, per cattiveria o per stupidità, mettendomi al mondo, era la forma più ordinaria della rappresentazione del mio stato.
Involontariamente immaginavo che laggiù, in qualche luogo, v’era qualcuno che si fregava le mani al veder come, io, che avevo vissuto trenta, quarant’anni lavorando, svolgendomi, fortificandomi il corpo e lo spirito, giunto ora a quel culmine della vita dal quale la si scopre tutta, restavo là come un imbecille, comprendendo chiaramente che non v’è, che non vi fu nulla nella vita, e che non vi sarà mai nulla. E questo qualcuno ride...
Ma, esista o no questo qualcuno che si burla di me, io non mi sento meglio.
Non potevo dare un senso ragionevole a nessun’azione della mia vita; mi stupivo soltanto di non aver potuto comprenderlo fin dal principio. Tutto ciò è conosciuto universalmente da