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tranne il dolore e la morte: l’annientamento completo.

Arrivai al punto che, pur essendo sano e felice, sentii che non potevo più vivere. Una forza invincibile mi trascinava a sbarazzarmi della vita in modo qualunque, ma non si può dire che volessi uccidermi: la forza che mi trascinava di là dalla vita era più potente, più completa, più generale del mio desiderio; era una forza simile alla mia antica aspirazione alla vita, ma in senso inverso. Con tutte le mie forze aspiravo a liberarmi dalla vita; l’idea del suicidio mi divenne tanto naturale quanto altra volta l’idea del perfezionamento della vita. Quest’idea era così suggestiva che dovetti usar degli artifizi con me stesso per non metterla in esecuzione troppo in fretta; non volevo affrettarmi unicamente perchè volevo concentrare tutti i miei sforzi a veder chiaro in me; in caso d’insuccesso avrei sempre avuto il tempo di uccidermi. Ed ecco che io, l’uomo felice, per non impiccarmi, nascondevo a me stesso la corda tra gli armadi della mia camera, in cui ogni sera restavo solo a svestirmi; non andavo più a caccia col fucile per non lasciarmi tentare da quel facile mezzo di liberarmi dalla vita. Non sapevo neppur io che cosa desiderassi: avevo paura della vita, aspiravo ad uscirne, eppure speravo ancora qualche cosa da essa.

Ciò accadeva in un momento in cui, sotto tutti i rapporti, avevo ciò che è considerato come la felicità completa. Non avevo ancora cinquant’anni, avevo una moglie amante ed amata, dei bambini buoni, un gran possedimento che, senza alcuna fatica, si allargava e prosperava; ero più che mai rispettato dai miei parenti e dalle mie conoscenze; gli estra-