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18 | leone tolstoi |
arrivai quindici anni più tardi, se in quel tempo non mi fossi fermato su un altro lato della vita, che non conoscevo ancora e che mi prometteva la salvezza: intendo la vita di famiglia.
Per un anno intero mi occupai dell’arbitrato territoriale, della scuola e della rivista, ed ero assai afflitto poichè mi ci perdevo ognor più. La lotta continua, resa necessaria dalla mie condizioni di conciliatore, mi fu così penosa, la mia attività nella scuole si manifestò così vagamente, il mio lavoro nella rivista, il desiderio d’insegnare e nello stesso tempo di nascondere a me stesso la mia propria incapacità, mi divenne così ripugnante, che caddi malato moralmente più che fisicamente. Abbandonai tutto e fuggii nelle steppe, presso i Bashir, a respirar l’aria pura, a bere il kumis e a vivere della vita animale.
Al mio ritorno mi ammogliai. Le condizioni nuove di una felice vita di famiglia mi distolsero completamente da ogni ricerca del senso generale della vita. Tutta la mia vita, in quel tempo, si concentrò sulla mia famiglia, mia moglie e i miei bambini, e, per conseguenza, sui mezzi di aumentare le mie risorse. L’aspirazione al mio perfezionamento, che aveva già prima ceduto il posto all’aspirazione al perfezionamento in generale, al progresso, ora cedeva nettamente il posto al desiderio di avere, per me e per la mia famiglia, una vita assai comoda. Così passarono quindici anni ancora.
Quantunque considerassi la letteratura come una bagattella, pure, durante questi quindici anni, continuai a scrivere. Conoscevo l’enorme seduzione esercitata dalla letteratura, l’esca di un guadagno enorme e di applausi che ricompensano un lieve lavoro, e vidi nella lettera-