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mo, che per la tua follia ti convien morire. E Guglielmo parlò, e disse, vedendo che elli sì era sorpreso: di una cosa vi prego, donne, per amore, che mi facciate un dono. Le donne risposero: domanda, salvo che non domandi tua scampa. Allora Guglielmo parlò, e disse: donne, io vi prego per amore, che qual di voi è la più putta mi dea in prima. Allora l’una riguardò l’altra: non si trovò chi prima li volesse dare; e così scampò a questa volta.


Qui conta di messer Giacopino Rangone, come elli fece a un giullare.


NOVELLA XLIII.


Messere Giacopino Rangone nobile cavaliere di Lombardia, stando un giorno a una tavola, avea due inguistare di finissimo vino bianco innanzi e vermiglio. Un giucolare stava a questa tavola, e non s’ardiva chiedere di quel vino, avendone grandissima voglia. Levossi sue, e prese un miuolo1, e lavollo di vantaggio. E poi che l’ebbe così lavato, molto girò la mano. E disse messere, io lavato l’hoe. E messer Giacopino diede della mano nella guastada, e disse: tu il pettinerai2 altrove che non qui. Il giullare si rimase cosi, e non ebbe del vino.

  1. miuolo, bicchiere; da miolum, voce longobarda.
  2. il pettinerai; cioè il berrai. Avere il pettine e il cardo, e pettinare col pettine e col cardo, vale mangiare e bere assai.