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non erano per lo ’mperadore conosciute, tolse uno suo carissimo lapidario, e mandollo celatamente alla corte dello ’mperadore, e disse: al postutto metti lo ’ngegno tuo, che tu quelle pietre mi rechi; per niun tesoro rimanga. Lo lapidaro si mosse guernito di molte pietre di gran bellezza, e cominciò presso alla corte a legare sue pietre. Li baroni e cavalieri veniano a vedere di suo mestiero. L’uomo era molto savio: quando vedeva alcuno ch’avesse luogo in corte, non vendeva, ma donava; e donò anella molte; tanto che la lode di lui andò dinanzi allo ’mperadore. Lo quale mandò per lui, e mostrolli sue pietre. Lodolle, ma non di gran vertude. Domandò se avesse più care pietre. Allora lo ’mperadore fece venire le tre care pietre preziose ch’elli disiderava di vedere. Allora il lapidaro si rallegrò, e prese l’una pietra, e miselasi in mano e disse così: questa pietra, messere, vale la migliore città che voi avete. Poi prese l’altra, e disse: questa, messere, vale la migliore provincia che voi avete. E poi prese la terza, e disse: messere, questa vale più che tutto lo ’mperio; e strinse il pugno con le soprascritte pietre. La vertude dell’una il celò, che nol potero vedere, e discese giù per le gradora, e tornò al suo signore Presto Giovanni, e presentolli le pietre con grande allegrezza.



    bassero ancora in sé al medesimo modo, perché rimaneva occulta all’imperatore, essa presso a lui era come perduta.