in villa, sì che troppo mi sarebbe una derrata. Et io li amo più volentieri freschi. Usavansi allora le medaglie in Firenze, che le due valevano uno danaio; però disse Bito: dammene ora una medaglia. Dammi un danaio, e te’ una medaglia, et un’altra volta torrò l’altro mazzo. A lei parve che dicesse bene, e così fece. E poi andò a vendere li altri a quella ragione che il signor l’avea data. E tornò a casa, e diede a ser Frulli la moneta. Quelli annoverando più volte, pur trovava meno un danaio. Disselo alla fante. Ella rispose: non può essere. Quelli riscaldandosi con lei, domandolla se s’era posata a san Giorgio. Quella volle negare, ma tanto la scalzò1 ch’ella disse: sì, posai a un bel cavaliere, e pagommi finemente2. E dicovi che io li debbo dare ancora un mazzo di cavoli. Rispose ser Frulli: dunque ci avrebbe ora meno un danaio in mezzo. Pensovvi suso, avvidesi dello ’nganno, e disse alla fante molta villania, e domandolla dove quelli stava; ella li le disse appunto. Avvidesi ch’era Bito, che molte beffe li avea già fatte. Riscaldato d’ira, la mattina per tempo si levò, e misesi sotto le pelli una spada rugginosa, e venne in capo del ponte, e là trovò Bito che sedea con molta buona gente. Alza questa spada, e fedito l’avrebbe, se non fosse uno che lo tenne per lo braccio. Le
- ↑ tanto la scalzò. Scalzare per metafora vale cavar artifiziosamente di bocca a forza di aggiramenti e d'interrogazioni ciò ch'altri non vorrebbe dire.
- ↑ pagommi finemente; pagommi abbondantemente