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comandò a’ fanti suoi che ’l legassero, e togliessero que’ fichi, et a uno a uno li le gittassero entro il volto. E quando il fico li venia presso all’occhio, e quelli gridava: domine, ti lodo. Li fanti per la nuova cosa l’andaro a dire al signore. Il signor disse, perch’elli diceva così? E quelli rispose: messere, perchè io fu’ incorato1 di recare pesche; che s’io l’avessi recate, io sare’ ora cieco. Allora il signore incominciò a ridere, e fecelo sciogliere e vestire di nuovo, e donolli per la nuova cosa ch’avea detta.


Qui conta come Domeneddio s’accompagnò con uno giullare.


NOVELLA LXXV.


Domeneddio s’accompagnò una volta con uno giullare. Or venne un dì che s’era bandito una corte di nozze, e bandissi uno ricco uomo ch’era morto. Disse il giullare: io andrò alle nozze, e tu al morto. Domeneddio andò al morto, e guadagnò, che ’l risuscitò, cento bisanti. Il giullare andò alle nozze, e satollossi, e redì2 a casa, e trovò il compagno suo ch’avea guadagnato. Feceli onore. Quelli era digiuno. Il giullare si fe’ dare danari, e comperò un grosso cavretto, et

  1. io fu’ incorato. Io mi era posto in cuore; io ebbi intenzione.
  2. e redì, voce latina, dal verbo redire. E ritornò.