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io t’ho fatto qui venire, per potermi compiangere di tuo gran misfatto, chè giammai non fu in cavalier tanta dislealtade, quanta tu hai per tue parole: chè m’hai unita1 e lo tuo zio re Marco, che molto t’amava: chè tu se’ ito parlando di me intra li erranti cavalieri cose che nello mio cuore non poriano mai discendere. Et innanzi darei me medesima al fuoco, che io unissi così nobile re, come monsignor lo re Marco. Onde io ti disfido di tutta mia forza, siccome disleale cavaliere, sanza niuno altro rispetto. Tristano udendo queste parole, dubitò forte, e disse: madonna, se malvagi cavalieri di Cornovaglia parlan di me tutto, primamente dico che giammai io di queste cose non fui colpevole. Mercè, donna, per dio, elli hanno invidia di me; chè io giammai non feci nè dissi cosa che fosse disinore di voi nè del mio zio re Marco. Ma dacchè vi pur piace, ubbidirò a’ vostri comandamenti. Andronne in altre parti a finir li miei giorni. E forse avanti che io mora, li malvagi cavalieri di

  1. che m’hai unita. Unire, lo stesso che onire, vale disonorare. Nell’edizione di Bologna è puntato così: “chè giammai non fu in cavalier tanta dislealtade, quanta tu hai per tue parole; che m’hai unita. E lo tuo zio re Marco, che molto t’amava, che tu se’ ito parlando di me intra li erranti cavalieri cose che nel mio cuore a non poriano mai discendere.„ Secondo la detta interpunzione, da queste parole io non so cavarne un buon senso. Al modo ch’io l’ho ridotta, dice la donna a Tristano: tu hai disonorata me e il re Marco tuo zio ecc.: e che sia da leggersi così, apparisce dalla risposta di Tristano giammai non feci nè dissi cosa che fosse disinore di voi nè del mio zio Marco.