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cuore la causa della educazione popolare non solo, ma quella altresì delle biblioteche popolari, prevenne la immeritata accusa con alcune belle parole che ci piace riferire.

L’operaio, si è detto, non ha tempo nè voglia di leggere; non ha denaro per farsi socio: noi rispondiamo, finito il suo lavoro giornaliero, non trova egli largo tempo pel giuoco? Non consuma nelle taverne talora il frutto d’una settimana di fatiche? Ebbene, diamogli occasione di mutare abitudini; procuriamo che abbandoni lo sdrucciolo periglioso della bisca per entrare nella propria casa; che ad una conversazione o svergognata o scipita anteponga quella della moglie, dei figli, di qualche amico; andando con loro in cerca d’affetti, di conforti; che il libro lo riabiliti in faccia a se stesso, che il danaro sprecato a danno dello spirito e del corpo nella gozzoviglia venga ripartito fra la Cassa del risparmio e la Biblioteca popolare.

Ma gli avversari delle biblioteche circolanti dicono non esser necessario che il popolo divenga tanto dotto; essere più conveniente che egli si occupi de’ suoi mestieri. Prima di tutto, è vero che noi vogliamo fare d’un artiere un scienziato? Quando parliamo di coltura popolare le nostre idee sono relative all’allievo che vogliamo educare: e poi negando al popolo l’Istruzione e la lettura, a quale lavoro lo condannate? a quello della gleba: ma questa è la teoria della servitù perpetua, e noi vogliamo invece convertire il servo in libero. Non si dee paventare la scienza, ma l’ignoranza; la verità è luce e noi vogliamo la luce.

Le obiezioni però continuano ancora; sia pure, si dice, che nei centri più popolati si cer-