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Pinocchio, dal gran dolore, cominciò a piangere e a ragliare, e ragliando, disse:
— J-a, j-a, la paglia non la posso digerire!…
— Allora mangia il fieno! — replicò il padrone che intendeva benissimo il dialetto asinino.
— J-a, j-a, il fieno mi fa dolere il corpo!…
— Pretenderesti, dunque, che un somaro, pari tuo, lo dovessi mantenere a petti di pollo e cappone in galantina? — soggiunse il padrone arrabbiandosi sempre più, e affibbiandogli una seconda frustata.
A quella seconda frustata Pinocchio, per prudenza, si chetò subito, e non disse altro.
Intanto la stalla fu chiusa e Pinocchio rimase solo: e perchè erano molte ore che non aveva mangiato, cominciò a sbadigliare dal grande appetito. E, sbadigliando, spalancava una bocca che pareva un forno.
Alla fine, non trovando altro nella greppia, si rassegnò a masticare un po’ di fieno; e dopo averlo masticato ben bene, chiuse gli occhi e lo tirò giù.
— Questo fieno non è cattivo; — poi disse dentro di sè — ma quanto sarebbe stato meglio che avessi continuato a studiare!… A quest’ora, invece di fieno potrei mangiare un cantuccio di pan fresco e una bella fetta di salame! Pazienza!… ―
La mattina dopo, svegliandosi, cercò subito