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zetti fra gli otto e i dodici anni, ammonticchiati gli uni sugli altri come tante acciughe nella salamoia. Stavano male, stavano pigiati, non potevano quasi respirare: ma nessuno diceva ohi! nessuno si lamentava. La consolazione di sapere che fra poche ore sarebbero giunti in un paese, dove non c’erano nè libri, nè scuole, nè maestri, li rendeva così contenti e rassegnati, che non sentivano nè i disagi, nè gli strapazzi, nè la fame, nè la sete, nè il sonno.

Appena che il carro si fu fermato, l’omino si volse a Lucignolo, e con mille smorfie e mille manierine, gli domandò sorridendo:

— Dimmi, mio bel ragazzo, vuoi venire anche tu, in quel fortunato paese?

— Sicuro, che ci voglio venire!

— Ma ti avverto, carino mio, che nel carro non c’è più posto. Come vedi, è tutto pieno!...

— Pazienza! — replicò Lucignolo, — se non c’è posto dentro, mi adatterò a star seduto sulle stanghe del carro. — E spiccato un salto, montò a cavalcioni sulle stanghe.

— E tu amor mio, — disse l’ omino volgendosi tutto complimentoso a Pinocchio — che intendi fare? Vieni con noi o rimani?…

— Io rimango — rispose Pinocchio. — Io voglio tornarmene a casa mia: voglio studiare e