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quel casotto di legno, dove c’è sempre la paglia che ha servito di letto per quattro anni al mio povero cane. E se per disgrazia venissero i ladri, ricordati di stare a orecchi ritti e di abbaiare. —
Dopo quest’ultimo avvertimento, il contadino entrò in casa chiudendo la porta con tanto di catenaccio: e il povero Pinocchio rimase accovacciato sull’aia più morto che vivo, a motivo del freddo, della fame e della paura. E di tanto in tanto cacciandosi rabbiosamente le mani dentro il collare, che gli serrava la gola, diceva piangendo:
— Mi sta bene!… Pur troppo mi sta bene! Ho voluto fare lo svogliato, il vagabondo… ho voluto dar retta ai cattivi compagni, e per questo la fortuna mi perseguita sempre. Se fossi stato un ragazzino per bene, come ce n’è tanti; se avessi avuto voglia di studiare e di lavorare, se fossi rimasto in casa col mio povero babbo, a quest’ora non mi troverei qui, in mezzo ai campi, a fare il cane di guardia alla casa di un contadino. Oh, se potessi rinascere un’altra volta!… Ma oramai è tardi e ci vuol pazienza! —
Fatto questo piccolo sfogo, che gli venne proprio dal cuore, entrò dentro il casotto e si addormentò.