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una buona volta per i fatti suoi e lasciasse libero il passo della strada.
Aspettò un’ora; due ore: tre ore: ma il serpente era sempre là, e anche di lontano, si vedeva il rosseggiare de’ suoi occhi di fuoco e la colonna di fumo che gli usciva dalla punta della coda.
Allora Pinocchio, figurandosi di aver coraggio, si avvicinò a pochi passi di distanza, e facendo una vocina dolce, insinuante e sottile, disse al serpente:
— Scusi, signor Serpente, che mi farebbe il piacere di tirarsi un pochino da una parte, tanto da lasciarmi passare? —
Fu lo stesso che dire al muro. Nessuno si mosse.
Allora riprese colla solita vocina:
— Deve sapere, signor Serpente, che io vado a casa, dove c’è il mio babbo che mi aspetta e che è tanto tempo che non lo vedo più!… Si contenta dunque, che io seguiti per la mia strada? —
Aspettò un segno di risposta a quella domanda: ma la risposta non venne: anzi il serpente, che fin allora pareva arzillo e pieno di vita, diventò immobile e quasi irrigidito. Gli occhi gli si chiusero e la coda gli smesse di fumare.
— Che sia morto davvero? — disse Pinocchio, dandosi una fregatina di mani dalla gran con-