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92 | Capitolo decimo. |
— Sì, muovono verso i Shagrissiabs, Tabriz lo ha saputo, e quei dannati moscoviti non tarderanno ad assediare la città.
Tu devi giungere colà prima di loro. Abei ti aiuterà nella tua impresa. —
Il giovane pallido, che si teneva nell’angolo meno illuminato della stanza, aveva fatto una brutta smorfia.
— Hai capito, Abei? — disse il beg, stupito di non ricevere risposta. — Spero che non avrai paura di attraversare la steppa con tuo cugino.
— Un simile viaggio coi russi in campagna, non sarà facile, padre, — rispose Abei.
Un lampo terribile avvampò negli occhi del vecchio beg.
— E che? — gridò con voce tuonante. — Avresti tu paura? Saresti un figlio degenere di tuo padre? Egli morì in battaglia di fronte al nemico e cadde da eroe.
— Sono pronto a morire per la felicità di mio cugino, padre, disse Abei frettolosamente. — Tu sai che io lo amo come mio fratello e che non ho paura dei banditi della steppa.
— Perdonami, sai se io sono violento, — disse il beg. — È il mio carattere.
— Fra me e te, Abei, faremo tremare le Aquile — disse Hossein. — E se è vero che Beg Djura bey ha fatto rapire da loro la mia Talmà, noi frugheremo le sue viscere colle punte dei nostri kangiarri.
— Sì, cugino, — rispose Abei. — Talmà ricadrà nelle tue mani.
— Andate a riposarvi onde essere pronti per domani mattina, — disse il beg. — Ho bisogno di essere solo.
— È impossibile che io possa dormire, — disse Hossein, prendendosi il capo fra le mani, con un gesto disperato.
— Triste notte di nozze!... Mi avessero almeno ucciso le Aquile!
— E la vendetta?... Un uomo della steppa non muore invendicato, — disse il beg con voce sorda. — Uscite, l’uomo deve essere forte prima della battaglia. —
Poi, avvicinandosi a Hossein che pareva facesse degli sforzi prodigiosi per frenare le lagrime, aggiunse con voce raddolcita, ponendogli le mani sulle spalle:
— Giuro su Allah, che chiunque possa essere l’uomo che ha