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La steppa turcomanna. 69

Tabriz si lasciò sfuggire un grido.

— È la voce di Abei! — esclamò. — Che io abbia avuto tanta fortuna? —

Quel grido era partito fra mezzo un altro gruppo di canne, costeggiante uno stagno con le erbe circostanti che quasi interamente coprivano.

Tabriz discese da cavallo, subito imitato dal nuker ed entrambi si diressero con precauzione verso le piante acquatiche.

— Sei tu signore? — chiese il gigante — aprendo le canne coll’archibugio.

— Non m’inganno io! — esclamò la voce che aveva chiamato aiuto. — È Tabriz che mi parla! —

Il turcomanno s’avanzò rapidamente e scoprì, in mezzo alle piante, il nipote del beg colle gambe e le braccia legate da solide corregge.

— Che cosa fai costì, mio signore? — chiese il gigante.

— Vedi bene che sono legato, — rispose Abei, che pareva o fingeva di essere arrabbiato.

— Ti hanno sorpreso le Aquile, signore?

— Vuoi che mi sia legato da me?

Trabriz estrasse il cangiarro ed in pochi colpi recise le corregge, non senza notare però che i nodi erano così poco stretti da poterli allargare con un piccolo sforzo.

— Sono sei ore che mi trovo qui — disse Abei saltando lestamente in piedi. — Potevi giungere ben prima.

— Avevamo da difendere Talmà, signore, — disse Tabriz — e quelle maledette Aquile ci hanno tenuto occupati fino all’alba.

— L’hanno portata via?

— Chi?...

— La bella Talmà?

— È stato un vero miracolo se non l’hanno rapita. Qualche ora di ritardo e prendevano d’assalto la casa. —

Abei era diventato pallidissimo ed una profonda ruga si era disegnata sulla sua fronte.

— E Hossein è là? — chiese coi denti stretti.

— Col beg.

— E chi sono codesti cavalieri che t’accompagnano?

— I Sarti di Talmà. —

Abei represse a stento un moto d’ira.