Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
68 | Capitolo ottavo. |
Se calano sulla steppa è segno che vi sarà un cadavere da fare a pezzi.
— Che l’abbiano ucciso? — chiese il nuker che aveva ripreso il posto al suo fianco.
— Non lo credo, quantunque quel cugino d’Hossein non mi sia mai stato... troppo simpatico — disse Tabriz.
— Vuoi dire che se fosse morto... —
Il gigante fece con una mano un gesto vago, senza rispondere e aizzò Heggiaz.
Nuvoli di koabara, che sono una specie di ottarde di statura piccola, colle piume bigio giallastre a macchiette brune, la testa adorna d’un ciuffetto, il collo lunghissimo, fornito sotto la gola di lunghe penne sottili e biancastre, con punteggiature nere ed il becco somigliante ad un chiodo, fuggivano lungo le rive di quei piccoli bacini.
Tabriz non si degnava nemmeno di guardarle, quantunque quei grassi volatili avessero potuto fornire a lui e ai suoi uomini una succolenta e deliziosa colazione, che tutti avrebbero assai gradita. Egli seguiva cogli sguardi una traccia aperta fra le erbe che a qualunque altro occhio sarebbe sfuggita, ma non certo al suo.
— L’ha aperta il cavallo di Abei questa via, — mormorava. — Si vedono le erbe calpestate e ripiegate dai suoi robusti zoccoli.
Finirò per trovarlo. —
Quella galoppata durava già da un’ora ed il gigante cominciava a distinguere, attraverso la nebbia che s’alzava sulla steppa, come un gran nastro d’argento che il sole faceva vivamente scintillare indicante il fiume, quando un grido echeggiò in mezzo alle erbe che sorgevano altissime sulle rive.
— Kabarda!... Kabarda!... —
Tabriz arrestò di colpo Heggiaz, facendolo piegare fino a terra e vide parecchi grossi falchi volare in truppa serrata, sfiorando colle loro robuste ali le erbe della steppa.
— V’è qualcuno laggiù, — disse.
Fece fare a Heggiaz un gran salto e si diresse verso il fiume gridando con voce stentorea:
— Chi chiama?
— Aiuto!
— Veniamo: abbiate pazienza un momento.
— Aiuto!...