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La steppa turcomanna. 67

tuto fare un bel bottino che le avrebbe in parte compensate della batosta subita dinanzi la casa di Talmà.

— Hanno troppa paura del tuo beg, — rispose il Sarto. —

— Sai chi è che comanda le Aquile?

— Mi hanno detto che le guidava un turcomanno delle rive del Caspio.

— Non sono Kirghise dunque quelle?

— Non credo.

— Avrei giurato che venivano dalla steppa della fame, — disse Tabriz. — Kirghise o Turcomanne sono sempre pericolose, quando spiegano le ali. Rallenta.

— Perchè, Tabriz?

— Vi possono essere banditi là dentro e prenderci con una fucilata a bruciapelo. —

Essendo giunti ad un centinaio di passi dalla tenda, Tabriz fermò il proprio cavallo e lo costrinse a nitrire, pizzicandogli fortemente un orecchio.

Un altro nitrito che usciva dalla tenda rispose subito.

— È il cavallo di Abei Dullah, — disse subito il gigante. — Possiamo andare innanzi con tutta sicurezza. —

Allentò le briglie e in pochi slanci raggiunse la tenda. Saltò a terra e alzò il pezzo di feltro che serviva da porta, affrettandosi a puntare una pistola, ma non vide che il cavallo di Abei legato ad un palo della tenda.

— È strano! — mormorò. — Nessuna scalfittura sul cavallo di Abei; nemmeno le ginocchia sono lorde di fango. Questo cavallo non è caduto; come mai Abei Dullah è stato preso? Ecco un bel mistero che sarà forse difficile dilucidare. —

Fece scendere da cavallo due Sarti e ordinò loro di mettersi a guardia della tenda, poi risalì su Heggiaz, dicendo agli altri:

— Seguitemi e aprite gli occhi. —

Il drappello sferzò le cavalcature e riprese la corsa. Tabriz si era prontamente deciso.

Era sua intenzione di muovere direttamente verso l’Ungus Bett, sulle cui rive Abei aveva lasciata la scorta dei cammelli. Se Abei s’era diretto verso quel corso d’acqua, doveva trovare in quella direzione le sue tracce o per lo meno il suo cadavere.

— State attenti se vedete delle aquile non già umane, bensì pennute, — disse volgendosi verso i Sarti che lo seguivano. —