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62 Capitolo settimo.

giungere in tempo. Spero che le Aquile non torneranno più a guastare la vostra felicità.

— Grazie dell’augurio, padre, — rispose la bella Talmà colla sua voce armoniosa.

— Ed Abei? — chiese Hossein. — Insegue i banditi?

— Io non l’ho più veduto, — rispose il beg. — Solo il suo cavallo è tornato alla tenda, senza cavaliere.

— Abei scomparso! — esclamarono ad una voce Hossein e Talmà.

— Io temo, figli miei, che gli sia toccata qualche sventura avanti che abbia potuto raggiungere la scorta.

— E non andremo a cercarlo? — chiese Hossein.

— Sì. Affiderò la missione di trovare Abei a Tabriz. Mi addolorerei troppo che egli non assistesse al matrimonio di questi ragazzi. —

Tabriz, che era conosciutissimo dai Sarti, scelse venti cavalieri, montò Heggiaz che pareva fosse appena uscito dalla scuderia, non ostante la lunga corsa fatta e diede il comando di partire, mentre il beg e Hossein gli gridavano dalla veranda:

— Ritorna presto e con lui. —


CAPITOLO VIII.


La steppa turcomanna.


In quell’immenso spazio che si estende fra il mar Caspio ad occidente ed il mar d’Aral ad oriente, toccando i confini della Persia, dell’Afganistan, della Duzungaria cinese e del Belucistan, vive un gra popolo fiero, bellicoso, che nessuno degli stati confinanti è stato mai capace di soggiogare.

Solo i russi, dopo non lievi lotte e non pochi sacrifici, sono riusciti, pochi anni or sono, a frenare; ma non del tutto a dominare, poichè tutti i Kanati che sono compresi in quel vastissimo territoro, si possono considerare anche ora, quasi indipendenti.

Quel grande popolo è conosciuto sotto il nome generico di turcomanni, quantunque racchiuda nel suo seno varie razze, che ben poco hanno di comune l’una coll’altra, fuorchè una sola cosa: l’istinto del ladroneccio.

Il turchestano infatti somiglia molto al terribile tuareg, quel