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Talmà la bella. | 47 |
— Lascia liberi i nostri khorassani — disse il giovane Tabriz. — Sapranno ritrovare la nostra tenda anche senza di noi. Non voglio che i banditi li vedano. —
Il gigante tolse le briglie ed il morso, onde fossero maggiormente liberi, poi sferrò loro due poderosi calci.
I due khorassani, non abituati a quel brutale trattamento, s’impennarono violentemente, poi partirono ventre a terra, scomparendo ben presto fra le tenebre.
— Se ne sono andati, padrone, — disse il gigante.
— Sali sulla cinta e aiutami.
— Un momento, padrone. Bisognerebbe avvertire i difensori della casa, se no, credendoci Aquile, ci prenderanno a fucilate.
— È vero, — rispose il giovane a cui batteva forte il cuore. — Come fare? —
Hossein stava per rispondere, quando un’ombra umana comparve sul terrazzo sovrastante la casa.
— Amici! — gridò Hossein, mentre dalla parte opposta rimbombava una scarica. Sono il figlio del beg Agha. Non fare fuoco. —
L’uomo che aveva già puntato il fucile, avendoli oramai scorti, abbassò l’arma.
— Getta una fune, presto, — aggiunse il giovane. — I banditi stanno per giungere. —
L’uomo scomparve subito.
— Sali sulla cinta, - continuò Hossein, volgendosi verso Tabriz. — Li vedo giungere. —
Il gigante spiccò un salto e s’aggrappò con ambe le mani all’orlo superiore del muricciuolo, formato di argilla battuta; si issò mettendosi a cavalcioni, poi porse le mani al suo giovane padrone e lo innalzò colla stessa facilità, come avrebbe fatto con un fanciullo.
Al di là della cinta vi erano numerosi cavalli i quali, spaventati dalle detonazioni che echeggiavano continuamente sulla fronte della casa s’inalberavano, cercando di spezzare le corregge che li trattenevano ai pali piantati nel suolo.
Tabriz e Hossein attraversarono correndo il recinto e giunsero sotto la casa, nel momento in cui una corda a nodi veniva gettata dal terrazzo.