Pagina:Le aquile della steppa.djvu/48

42 Capitolo quinto.

contavano o sull’esaurimento delle forze dei cavalli, o sulla caduta dell’uno o dell’altro, per avventarsi.

Quella corsa sfrenata durava solo da pochi minuti, quando Tabriz scorse sulla linea dell’orizzonte, che aveva cominciato un po’ a rischiararsi, grandi ombre che si serravano rapidamente.

— Padrone! — disse. — Le Aquile sono dinanzi a noi. Guarda quella linea oscura che si muove laggiù. Si preparano a chiuderci il passo.

— Le Aquile! — esclamò Hossein, alzandosi sulle larghe staffe d’acciaio, per abbracciare maggior spazio.

— Sì, padrone, non m’inganno, io. —

Hossein mandò un vero ruggito:

— Quei miserabili sperano di arrestare il nipote di Agha beg!... Passeremo attraverso le loro fila come palle di cannone!... Fuori il kangiarro, Tabriz!

— L’ho già in mano, — rispose il gigante.

— Le briglie fra i denti e una pistola nella ventriera.

— È fatto.

— A tutta corsa!... Sfonderemo la loro linea.

— Non ne dubitare, signore. —

Giunti a cinquanta passi, una voce chiese improvvisamente:

— Chi vive? Fermatevi!...

— Amici della steppa, — rispose Hossein alzando il kangiar.

— Fermatevi!...

— Sì, aspetta un momento!... Aizza, Tabriz, e piombiamo addosso a quei miserabili. —

Un cavaliere si era staccato dalla linea e muoveva incontro a loro a piccolo trotto.

Hossein alzò la lunga pistola che aveva nella mano sinistra, mirò qualche istante, poi fece fuoco.

Il bandito, colpito in mezzo al petto dall’infallibile palla del giovane, allargò le braccia abbandonando le briglie e l’arcione e stramazzò pesantemente fra le erbe, mentre il suo cavallo, spaventato dal lampo e dalla detonazione, dopo d’aver spiccato un gran salto di fianco, si dava a precipitosa fuga attraverso alla steppa.

— Carica, Tabriz! — urlò il giovane. — Addosso a quei cani! —

I due cavalieri giunsero come un uragano sui banditi schierati