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36 Capitolo quarto.

— Ma io lo vendicherò, — disse Hossein cui occhi avevano lampi vividi. — Le Aquile sono sbucate dalle steppe!... Ah!... Non sanno ancora quanto pesi il mio cangiarro. Tabriz! Il mio cavallo, il mio fucile e le mie pistole.

— Dove vuoi andare, cugino? — chiese Abei.

— A salvare Talmà o morire con essa, — rispose il prode guerriero con impeto.

— Tu sei un valoroso, Hossein, — disse il beg, guardandolo con orgoglio, — e sei degno figlio di colui che con un solo gesto faceva tremare i predoni della steppa ghirghisa. Ma tu stai per commettere una imprudenza. Aspettiamo che giunga la nostra scorta, o meglio mandiamo Tabriz a richiamarla. In un’ora e mezzo i nostri uomini possono essere qui.

— M’incarico io di andarla a raccogliere, — disse Abei con sottile sorriso ironico. — Io, al pari di te, cugino, non ho paura delle Aquile della steppa.

— E tu, padre? — chiese Hossein. — Vorresti rimanere qui solo? —

Il vecchio si era alzato col viso contratto e gli occhi fiammeggianti.

— Si provino ad assalirmi entro la mia tenda quei rettili, — disse.

— Va’, Hossein, va’ a difendere la tua bella Talmà; tu, Abei, corri a radunare la scorta e prendi alle spalle le Aquile della steppa e sopra tutto non risparmiarle.

— I nostri cavalli sono pronti, partiamo, — disse in quel momento Tabriz, comparendo sulla soglia della tenda.

— Parti, Hossein e non risparmiare i colpi di punta, — disse il vecchio. — Io ti seguirò col mio pensiero. —

Abbracciò il valoroso giovine e lo condusse fino fuori.

— In sella, padrone, — disse Tabriz, gettandosi ad armacollo due lunghi archibugi. — Sfonderemo le linee di quei bricconi e passeremo fra loro come due proiettili.

Su, Agar, preparati a gareggiare col vento. —

Un momento dopo Hossein ed il suo gigantesco servo scomparivano fra le ombre della notte.