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Il «mestvire». 27

— Io non lo so, mio signore, — rispose il mestvire con fare umile. — Io narro ciò che ho imparato e nulla di più.

— Racconta qualche cosa di meglio — disse il beg, vedendo che il fiero giovane stava per irritarsi maggiormente.

— I mestvire della nostra steppa sono più poetici nei loro racconti, — aggiunse poi.

Il suonatore parve che si raccogliesse, invece al di sotto delle sue folte palpebre guardava intensamente Abei Dullah, il quale sembrava che non si fosse affatto interessato di quella narrazione; poi votò a metà il vaso contenente il kumis e disse:

— Ascoltate questa dunque. — Accordò la chitarra, e cominciò a cantare:

— Io ho cercato la tomba della mia diletta e non ho potuto trovarla. Ahimè! Sospiravo dicendo: Dov’è la mia diletta?... Allora io vidi una rosa fra le spine: essa era sola, isolata. La interrogai col cuore palpitante: Sei tu la mia diletta? La rosa, in segno d’assentimento, trasalì ed inclinandosi dolcemente, lasciò cadere delle gocce di rugiada simili a lagrime.

Allora un usignuolo volò sopra la mia testa e si nascose in un cespuglio.

Indirizzandomi a lui, con voce dolce, gli chiesi:

— Sei tu la mia diletta?

L’usignuolo stese le ali, colse col suo becco la rosa, e nel suo melodioso linguaggio, mi rispose di sì.

Improvvisamente una bianca stella rischiarò col suo dolce fulgore me, la rosa e l’usignuolo. Interrogai la stella, magnifica nella sua bellezza: Sei tu la mia diletta?

Ella mi rispose con un guizzo di luce che diresse verso i miei occhi.

In quel momento l’aria mi accarezzò dolcemente il viso, sursurrandomi agli orecchi: Ecco colei che cerchi: non inquietarti per lei. Passano tranquillamente i giorni dal mattino alla sera passano tranquillamente le notti dalla sera all’aurora. L’essere che tu hai amato si è diviso in tre: in un usignuolo, in una rosa ed in una stella! —

Il mestvire si era alzato.

— La notte è oscura ed i lupi possono uscire dalle loro tane, — disse, — ed io domani devo trovarmi dinanzi alla casa della