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24 | Capitolo terzo. |
Tutto il suo armamento consisteva in una specie di jatagan dalla lama assai larga; però da un certo rigonfiamento della zimarra si poteva supporre che nascondesse sotto la fascia delle altre armi e fors’anche delle pistole.
— Da dove vieni? — gli chiese il beg.
— Dalla casa della bella Talmà, mio signore, — rispose il suonatore con fare umile e curvando il suo dorso di bisonte. — Ho suonato sotto le sue finestre fino al tramonto del sole.
— È lei che ti manda? — chiese Hossein.
Il suonatore ebbe una breve esitazione e, prima di rispondere, diede, di sfuggita, uno sguardo ad Abei, il quale si divertiva sempre a stuzzicare i falchi.
— No, — disse poi.
— Come hai saputo che noi eravamo accampati qui?
— Un pastore sarto mi avvertì ed io sono venuto per allietare la vostra veglia. Sono un povero uomo che deve approfittare delle buone occasioni per vivere e questo non toccano tutti i giorni.
— Il mio servo ti darà da mangiare e da bere, — disse il beg — e la tua borsa non se ne andrà vuota.
Tabriz reca qualche cosa a quest’uomo. —
Il gigante aprì un cofano e prese un piatto d’argento colmo di pezzetti d’agnello, tagliati a dadi, arrostiti nel grasso, ed un fiasco pieno di kumis, e mise l’uno e l’altro a fianco del suonatore, il quale si era seduto sul tappeto, colle gambe incrociate e stava accordando la sua guzla.
— Vi voglio narrare, miei signori, — disse finalmente il suonatore, pizzicando dolcemente le corde di seta, — la istoria del pentolaio di Albonaz. L’avete mai udita?
— No, — rispose il beg.
— Allora ascoltatemi, miei signori.
— Ai piedi della catena dell’Albonaz abitava, in un piccolo villaggio, un mollah1 chiamato Tafilet. Un giorno andò a trovarlo un pentolaio che lo conosceva moltissimo, avendogli venduto sovente dei vasi.
Il mollah, che era ospitalissimo, offerse al pentolaio delle more secche, e dei fichi, non avendo di più in casa, perchè era poverissimo; dopo di che i due amici sdraiatisi all’ombra d’un bo-
- ↑ Prete mussulmano.