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La giustizia del «beg». 269

orecchi furono colpiti da un galoppo precipitoso, che pareva prodotto da più cavalli.

Temendo che qualche banda di briganti fosse per irrompere sull’accampamento, tornò rapidamente nella tenda del beg, informandolo di quanto aveva udito.

— Che sia Abei che ritorna dalla casa di Talmà? — chiese il vecchio.

— Non si fa mai accompagnare, beg, — rispose il maggiordomo. — Egli non ha bisogno d’alcuna scorta e poi i cani lo conoscono troppo bene, per abbaiare in quel modo. —

In quel momento si udirono i guardiani del bestiame a gridare:

— Chi vive?... —

Una voce formidabile che parve un colpo di tuono, si alzò fra le tenebre:

— Cerchiamo il beg Giah-Aghà, nostro signore! —

Pochi minuti dopo, tre cavalli neri, coperti di schiuma e montati da tre uomini, giungevano dinanzi alla tenda del beg, gridando:

— Largo agli amici! Giah-Aghà aveva lasciato cadere il cannello del narghileh e si era fatto pallidissimo, esclamando:

— Che i morti ritornino o che i miei orecchi troppo vecchi si siano ingannati?

— T’inganni, zio, solo i vivi ritornano, — rispose una voce.

Un uomo è comparso sulla porta della tenda, esponendosi alla luce che proiettava la lampada sospesa al di sopra della pietra che teneva ferma l’ossatura.—

Il beg mandò un urlò:

— Hossein!

— Sì, zio, sì padre, — rispose il giovane, che era pallido come uno spettro. — Sono io che vengo a reclamare giustizia al beg della steppa turchestana. —

Giah-Aghà era rimasto immobile, come se fosse stato fulminato.

— Hossein! — balbettò.

— E ci... sono anch’io, padrone, — disse Tabriz, avanzandosi ed entrando nel raggio proiettato dalla lampada. — Ed anch’io non sono un morto! —

Con uno scatto improvviso, che un giovane di vent’anni gli avrebbe invidiato, il beg si alzò.