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254 | Capitolo undicesimo. |
i bukari in agguato, dietro ai cespugli, coi fucili in mano, pronti a salutare gli assediati con una scarica e impedire la loro fuga.
Erano una quarantina, tutti bene armati; ed a loro si erano aggiunti alcuni pescatori, forse più per curiosità che per aiutarli validamente, non avendo che fiocine e qualche scure.
Tabriz ad un tratto fece un balzo.
— Il loutis! — esclamò.
— Dov’è?
— Eccolo là che attraversa il fiume su una barca, con due cavalli.
— Che fugga?
— Scommetterei che quel birbante ha ricevuto il prezzo del tradimento e che ora si mette in salvo.
— Non dobbiamo lasciarcelo scappare, Tabriz, — disse Hossein con impeto. — Voglio avere quell’uomo nelle mie mani.
— Perchè padrone?
— Perchè ho il sospetto che egli sia una delle Aquile pagate da Abei.
— Aspetta un momento, padrone. Gli fracasserò la barca.
— Lo voglio vivo ti ho detto.
— Farò il possibile. Tu tira sugli usbeki, io su quel cane e sul suo compagno, che mi sembra sia il taverniere. —
Esaminarono i falconetti.
— Carichi tutti, — disse il gigante.
— Mira giusto.
— E tu getta a terra più bukari che puoi. —
— Si curvarono sui due piccoli pezzi che formavano le due estremità della batteria, abbassandoli fino al punto esatto di mira, poi diedero fuoco alle micce, che stavano chiuse in una cassetta.
— Ci sono — disse Hossein.
Una fortissima detonazione scosse l’aria e il proiettile andò a cadere in mezzo agli usbeki facendone stramazzare due al suolo.
Un momento dopo anche Tabriz faceva fuoco, spaccando la poppa della barca sulla quale si trovavano Karaval e Dinar.
Vi fu fra i bukari un momento di stupore impossibile a descriversi, poi vedendo ondeggiare sul ridotto due nuvole di fumo e temendo una nuova scarica si dispersero in tutte le direzioni, urlando e bestemmiando.